Lettera di un papà (etero) che è venuto al Pride.

monighini prideBeppe Monighini (@beppegi) ha scritto una lettera al nostro Daniele (ma in realtà a tutte e tutti noi) su quello che ha visto e provato a venire per la prima volta al Pride con moglie e figli al seguito. Una lettera in cui parla di emozioni ma anche di politica.

 

“Come si traduce ‘The trouble with normal’?”

Che grana, caro Daniele, che grana!
Voglio dire, è da quando mi hai chiesto di scrivere il “diario di una famiglia al Pride” che ci penso: come si traduce in italiano ‘The trouble with normal’?
Sarebbe questo, infatti, il titolo ideale per il racconto del sabato di due genitori con figli al seguito che partono dal loro paesino ai margini della regione per venirsene a Torino e partecipare alla sfilata del Family Pride. Più in generale, sarebbe il titolo ideale per il Pride, quello di quest’anno, quello dell’anno passato e quello a cui temo, e poi ti spiego perché scrivo temo, verrò l’anno prossimo.
The trouble with normal. Il problema con quello che è normale, e quindi dovrebbe essere (banalmente) considerato tale. Normale come quel che abbiamo visto sabato, soprattutto quando seduti sul gradino del marciapiede di via Pietro Micca (i ragazzi avevano quasi “finito le pile” nel frattempo, ché i cortei sono più faticosi di quel che sembra, tra l’altro) ci siamo davvero goduti il passaggio della lunghissima, interminabile sfilata. Una marea di persone in festa a sfilare, e a guardare la sfilata tantissime altre persone, che davvero si godevano una festa comune (nel senso: di tutti, non di una comunità, e anche questo è giusto scriverlo).

Quindi, cosa ti dovrei raccontare, caro Daniele, della nostra partecipazione a una festa colorata caotica e rumorosa? Mah, rigorosamente in ordine sparso:
– l’ansia di una mamma che all’inizio ha il panico di perdere i figli nella folla (i figli hanno quasi 9 e 14 anni rispettivamente, eh, quindi sanno dire il loro nome e indirizzo. Nessun genitore vorrebbe, mai, d’altra parte, aspettare tremando un annuncio tipo: “i genitori del piccolo Francesco sono pregati di venirselo a riprendere al carro dei Giovani Democratici”);
– le fotografie fatte da Francesco (è quello di quasi 9), che alla sera si è precipitato a postarle su facebook, rapito (come sua mamma) dalla bellezza colorata delle “Drag Queen” e, invece, con adorabile ingenuità interista, perplesso dal fatto che qualcuno potesse aspirare a vestirsi da Diavolo, cioè secondo lui da milanista;
– ah, il rumore: sai, detto tra noi, sulla musica si può fare di meglio. La colonna sonora mi ha fatto pensare ai due protagonisti del film ‘Lavorare con lentezza’. Ai “Kung Fu Fighting”, hai presente? L’anno prossimo alla musica ci pensiamo io e Remo, mio vecchio socio di trasmissioni radiofoniche che come tutti gli anni è venuto a sfilare con Anna perché questa è (anche, a ragione) una festa per le famiglie;
– manifestazione o festa? Sabato ripensavo alle mie manifestazioni, anche per contare che sono così vecchio da avere sfilato contro la ministra dell’istruzione ma non era la Gelmini, no, era la Falcucci. Noi di solito le tenevamo rigorosamente separate, manifestazione e festa: la manifestazione era un po’ cupa, al massimo qualche slogan, di solito di contrasto, quasi mai si rideva e scherzava, pareva inappropriato. Mai riusciti a coniugare “Gioia e rivoluzione” e anche questo è stato un problema. Invece sabato gioia ne ho vista tantissima, vivaddio;
– gli amici. “Guarda, c’è Daniele che comanda tutti”… “non mi sarei aspettato che Anna volantinasse”… “finalmente abbiamo conosciuto Sara davvero, non solo su facebook”… “com’è che il fidanzato di Daniele si chiama anche lui Daniele? Perché sono i Danieli, no?” (i dialoghi sono reali). Questa cosa qui non è banale, Daniele, se hai 9 anni, più ancora se hai i complicati 14 anni di Paolo. Esserci e lì trovare degli amici rafforza, e non poco, la confidenza nel partecipare a qualcosa che è di tutti, che non è strano o estraneo;
– perciò: spiegazioni? No, noi ai ragazzi non ne abbiamo date prima di venirci. Neanche dopo, in realtà. Gli abbiamo solo detto, con un po’ di compiacimento: pensatevi fortunati, perché cerchiamo di fare con voi cose che vi aiutano a “aprire la mente”. Poi, come cresceranno, dipende molto più da loro che da noi (va così comunque, intanto);
– ehi, certo, il metrò! Sì, esiste ancora la provincia, sai, e una famiglia che viene da un paesino prende il metrò torinese per la prima volta grazie al Pride, e un po’ si stupisce della tecnologia e di quanto è luminoso. E questo racconta meglio di ogni enunciazione di princìpi, che comunque la nostra “cultura” mediamente non viaggia su un treno illuminato, tecnologico e che funziona anche senza conducente, non ancora, e molti faticano a salirci o almeno si stupiscono pure quando questo è normale…

E allora ti spiego perché ti dico che “temo” di doverci tornare l’anno prossimo. Perché, oltre alla giornata di festa, che è bellissima e serve a fare capire tante cose, anche a una famiglia con ragazzi che ci viene da un paesino e prende il metrò, ecco oltre alla festa ci sono i princìpi, ci sono i diritti, i normali diritti delle persone, c’è la ragione per cui si manifesta. L’anno prossimo (spero di sbagliarmi, ma ho paura di no), torneremo al Pride e quei diritti saranno ancora una sacrosanta richiesta, non una normale abitudine. E allora i miei figli potrebbero chiedermi, per esempio: “perché dopo un anno i Danieli non hanno ancora potuto sposarsi?”
E io non avrei modo di spiegarglielo, questo no, se staremo ancora messi così, e ancora mi ritroverò a chiedermi come si traduce in italiano ‘The trouble with normal’.

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