La nostra torta per te.

amore gayQuesta sera ho fatto una torta, di pesche. Non faccio più colazione al bar, da qualche mese, un po’ per risparmiare soldi, un po’ per risparmiare tempo. Al mattino mi preparo un caffè e ci inzuppo dentro una brioche del supermercato. Il guaio è che quelle buone fanno centinaia di calorie ma quelle con poche calorie fanno pena. A parte le Camille… che mi hanno stufato.
Ero lì che mescolavo uova, zucchero e burro fuso e mi è venuta in mente la mia collega Cristina, che alla domenica prepara una torta che Veronica e Rebecca, le sue due figlie, mangeranno a colazione e a scuola, nell’intervallo, tutta la settimana. Dice di farlo perché le merendine confezionate hanno troppi conservanti. Io sospetto che lo faccia per risparmiare.
Sorrido e mi dico se io e Stefano avessimo un figlio io gli preparerei le torte per colazione.
BUM.
È un attimo e sono lì, e quasi mi sembra di vederlo girare per casa. Un maschietto (chissà perché ho sempre pensato che dovesse essere una femminuccia), di colore. E via a pensare che Stefano lo aiuterebbe a fare i disegni, io i compiti. Che io sarei il genitore severo, quello rompicoglioni, e Stefano quello che lo vizia. Che Stefano a ogni carnevale gli cucirebbe un vestito nuovo, l’invidia di tutti i compagni. Che io gli regalerei libri e Stefano giocattoli. Che Stefano lo riempirebbe di coccole e io gliene farei meno di quelle che mi andrebbe di fargli, ma che poi guardandoli sul divano a fare gli scemi, mentre io preparo la torta e riempio la cartella, sarei invidioso di Stefano e patirei il ruolo che mi sono autoassegnato.
E poi la scuola, il basket (basket, perché mai), e poi le medie, estate ragazzi e le superiori, io che lo voglio aiutare a fare le versioni di latino e Lui che mi chiede pietà. E poi, e poi, e poi…e poi vado avanti a costruire castelli per un po’ e mi ritrovo con gli occhi lucidi, disilluso.
Come quando sono in macchina, mentre torno dal lavoro, e mi perdo a pensare come impiegherei sessanta milioni se li vincessi al Superenalotto, ma poi so che il problema, verosimilmente, non si porrà. Con la differenza che le probabilità di una vincita del genere sono largamente superiori rispetto a quelle che io e Stefano abbiamo di essere, un giorno, genitori.amore gay
Mi dico, per sollevarmi, che quella che mi sono creata, che mi é passata davanti agli occhi, è una rappresentazione troppo idilliaca della paternità, oltre che una sopravvalutazione delle capacità genitoriali mie e di Stefano. Che ci sarebbero le malattie, le preoccupazioni, uno stile di vita disordinato da riordinare, per forza, per Lui. Mi dico che forse ho visto troppi film. Ma poi penso che forse il problema é che le persone che hanno il potere di prendere delle decisioni ne hanno visti troppo pochi, almeno nel nostro paese, che loro hanno perso la capacità di immaginare, di sognare un futuro diverso dal passato che conosciamo, condannandoci a rivivere ogni giorno lo stesso maledetto giorno della marmotta.
Non riesco a credere che il mio sia egoismo, che sia un capriccio. Per la verità, almeno nel mio caso, è un desiderio che non ho mai avuto. É un pensiero venuto fuori da solo, dal niente, da una torta. Un pensiero che è andato alle decine, centinaia di migliaia di bambini nel mondo che non hanno una mamma o un papà, e nemmeno una nonna. All’esercito di bambini malati, che nessuno vuole adottare, perché sono malati o hanno qualche imperfezione fisica (le famiglie tradizionali, che non adottano per capriccio ma per un sano e naturale istinto genitoriale, i bambini malati, o anche solo brutti o troppo cresciuti, non li vogliono). Noi lo ameremmo un bambino con qualche difficoltà, lo cureremmo e assisteremmo, con più mezzi ed attenzioni di quanto il migliore istituto al mondo gli potrebbe dedicare.
Rimetto i piedi in terra. Dolorosamente, la mia visione è un miraggio che non si realizzerà; anche solo parlare di dare un figlio in adozione ad una coppia di gay è un tabú… ed è un peccato, non tanto per me e Stefano, che sicuramente troveremo un modo, più o meno vano e superficiale, di riempire quel vuoto nelle nostre vite, quanto per Lui, che invece dell’accoglienza – nella migliore delle ipotesi – di un istituto, potrebbe avere il calore di due genitori, l’affetto di due papà, cure, amore, bellissimi vestiti di carnevale e tutte le mattine una fetta di torta.

1 commento
  1. sarah dice:

    se si potesse, e per quanto possa valere il mio commento, io vorrei che tu cucinassi torte per il tuo bambino.

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